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lunedì, marzo 05, 2012

Eludere le tasse si può?


ROMA – L’elusione fiscale, se praticata come metodo e quindi “dolosa”,  sarà considerata reato. Lo ha detto chiaramente il premier Mario Monti e lo si evince da una sentenza della Cassazione depositata in questi giorni. “Intensificheranno il contrasto all’evasione, all’elusione e alle frodi fiscali” ha detto Monti. E, al di là delle parole, sull’argomento è intervenuta la Corte di Cassazione. Corte che ha sottolineato che, in determinati casi, l’elusione fiscale può assumere rilevanza penale. Elusore avvisato, mezzo salvato.
Il pericolo riguarderà solo l’elusione “corposa”, cioè quella riguardante grosse cifre e, soprattutto, quella reiterata. In altre parole sarà l’elusore abituale a dover temere perché uno sbaglio si può fare, ripeterlo fa sistema e abitudine.
Il Corriere della Sera stila una lista di cinque esempi tipo di elusione che ora potrebbero essere sanzionati. Esempi che aiutano anche a comprendere la materia elusione, pane quotidiano per alcuni commercialisti, ma merce sconosciuta per i comuni contribuenti.
Il primo esempio, classico, di elusione è quello di un’azienda che ha tre stabilimenti produttivi e ne vuole vendere uno. Con una semplice cessione pagherebbe un’imposta di registro del 3%, ma costituendo una società ad hoc, conferendole lo stabilimento e vendendo l’intero pacchetto (Spa e fabbrica), potrebbe riuscire a bypassare la tassa del 3%.

Il secondo esempio è il cosiddetto “leveraged buy out”: la pratica per cui l’ azienda accende prima un finanziamento e compra poi un’altra impresa in utile, la incorpora con una fusione e quindi compensa i profitti della preda con gli interessi passivi del predatore. Risultato meno reddito e quindi meno tasse.
Dal terzo si passa agli esempi di elusione internazionale. Se i primi due si possono infatti fare “in casa”, per gli altri serve un pizzico di esterofilia in più e si deve scegliere uno di quei tanti Stati con “regime fiscale più favorevole”: una locuzione che abbraccia tutte le nazioni dove si pagano meno tasse rispetto all’Italia. Nella casistica internazionale rientra (esempio 3) chi si finanzia da una consociata di un Paese fiscalmente più generoso, e lì sposta una fetta di reddito (gli interessi); dalla stessa consociata si possono poi (esempio 4) comprare merci a costi fuori mercato, trasferendole anche in questo caso ricavi e utili. Oppure (esempio 5) c’è chi preferisce il triangolo: dovendo vendere all’estero i propri prodotti, prima li fa passare per una società consociata in uno “Stato dal fisco leggero”, e quest’ultima poi li rivende alle altre consociate nei mercati di sbocco. In questo caso, la società “intramezzo” può comparare a 10 e rivendere a 12, realizzando senza quasi batter ciglio un margine del 20% a bassa, se non bassissima (a seconda della residenza), tassazione.


La giurisprudenza, sulla base del principio dell’abuso del diritto, già perseguiva chi realizzava un’operazione con il solo obiettivo di aggirare il Fisco senza valide ragioni economiche. Ora l’intenzione del premier, sommata ad alcune sentenza della Cassazione, fa prevedere tempi buoi per i “furbetti dell’elusione”.
Il principio secondo cui l’elusione fiscale può assumere rilevanza penale è stato espresso nella sentenza – depositata in questi giorni – con cui la Corte ha riaperto il fascicolo sugli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Altre due recenti sentenze della Cassazione su argomenti fiscali hanno poi stabilito che: anche le aziende con sede legale e oggetto sociale all’estero, ma con cuore amministrativo in Italia, devono pagare le imposte a Roma; e (seconda sentenza) dovranno fare lo stesso anche le “stabili organizzazioni occulte” (e non solo quelle palesi come stabilimenti o filiali) di società estere in Italia.

Naturalmente di elusione si tratta se oltre alla strategia fiscale non c’è altro. Altrimenti, per esempio in presenza di validi obiettivi industriali, si rientra nel campo dei giusti.
Fonte: http://www.blitzquotidiano.it/

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