29 maggio 2012
L'allarme è lanciato dal prof. Franco Ortolani: "Dobbiamo fare in fretta per essere pronti ad ogni evenienza"
L'allarme è lanciato dal prof. Franco Ortolani: "Dobbiamo fare in fretta per essere pronti ad ogni evenienza"
Il Marsili, uno dei vulcani sommersi nel mar Tirreno, s'è
risvegliato: è alto il rischio di tsunami in tutto il Tirreno meridionale a
causa di possibili eventi franosi lungo i versanti dello stesso vulcano.
L'allarme è lanciato dal prof. Franco Ortolani, ordinario di
Geologia e Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del
Territorio, Università di Napoli Federico II. Ma non bisogna lasciarsi prendere
dal panico, anzi, "bisogna al più presto organizzare sistemi di difesa dei
litorali" come spiega lo stesso geologo in uno studio approfondito
pubblicato sul MeteoPortale del Mediterraneo, http://www.meteoweb.it, con cui
collabora.
La chiave di tutto sta nelle isole Eolie che potrebbero
svolgere il ruolo di "sentinelle" e annunciare con netto anticipo
l'arrivo dell'onda di maremoto: "Uno studio che ho avviato spiega Ortolani
- dopo il maremoto del 30 dicembre 2002 che interessò Stromboli, le isole
vicine e la costa compresa tra Milazzo (Sicilia) e Marina di Camerota
(Campania), ha evidenziato che, in base ai dati pubblicati (Tsunamis Research
Team, Physics Dept - University of Bologna and National Institute of Geophysics
and Volcanology (INGV) - Rome) negli ultimi 2000 anni vi sono stati 72
movimenti anomali del mare che hanno interessato le coste italiane. I risultati
della ricerca eseguita con la collaborazione di Silvana Pagliuca del CNR, sono
stati presentati al Congresso Internazionale di Geologia tenutosi a Firenze
nell’agosto 2004. Il più recente maremoto italiano è stato quello che si è
innescato poco dopo le ore 13 del giorno 30 dicembre 2002 nell’area di
Stromboli, con conseguente inondazione della fascia costiera fino ad altezza di
alcuni metri sul livello medio del mare.
L’evento anomalo ha determinato seri
danni ai manufatti più vicini al mare e ha provocato il ferimento di alcune
persone; esso si è avvertito lungo la costa siciliana nella zona di Milazzo e
in quella campana nel porto di Marina di Camerota. Il maremoto è stato
innescato da una frana sottomarina. E’ evidente che se l’onda anomala del 30
dicembre 2002 si fosse verificata 4-5 mesi prima (o dopo), durante la stagione
estiva, i danni lungo le coste frequentate da migliaia di bagnanti,
specialmente alle persone, sarebbero stati molto gravi. Gli eventi, elencati
nel catalogo dei maremoti italiani riportato sul sito dell’Istituto Nazionale
di Geofisica e Vulcanologia, sono stati analizzati per individuarne le cause,
ricostruire le aree interessate dai vari movimenti anomali del mare al fine di
delimitare le zone costiere a rischio da tsunami e analizzare le disposizioni
attuali per prevenire i danni.
Un dato preoccupante è rappresentato dalla
evidenza che ben 18 tsunami del passato (di diversa importanza) sono avvenuti
nei mesi estivi che oggi costituiscono il classico periodo balneare caratterizzato
da centinaia di migliaia di persone distribuite lungo le coste e le spiagge. E’
evidente che l’attuale spinta urbanizzazione e frequentazione estiva delle aree
costiere renderebbe notevolmente più grave l’impatto di eventi simili a quelli
storici. Le aree interessate sono le seguenti: Liguria (14 eventi); Stretto di
Messina- Sicilia Orientale-Calabria meridionale tirrenica- Isole Eolie (23
eventi); Adriatico (10 eventi); Golfo di Napoli (10 eventi); Toscana (3
eventi); Sicilia settentrionale (2 eventi); Sicilia meridionale (2 eventi);
Calabria settentrionale ionica (1 evento); Lazio (1 evento). La massima altezza
che l’acqua marina ha raggiunto invadendo l’area emersa (Runup) è stata
valutata tra 6 e 15 m (si ricordi che lo tsunami del 26 dicembre 2004 verificatosi
in Indonesia determino runup massimo di alcune decine di metri di
altezza)".
"La correlazione - prosegue Ortolani - tra movimenti
anomali del mare, eventi sismici, ubicazione delle strutture sismogenetiche ha
consentito di individuare le seguenti cause dei maremoti italiani: terremoti
generati da strutture sismogenetiche che interessano in parte l’area costiera
emersa e sommersa (Calabria, Sicilia orientale, Gargano, Ancona); grandi e
rapide frane sottomarine innescate prevalentemente da terremoti ed eruzioni;
grandi frane costiere subaeree; accumulo antropogenico di terreno di riporto
sul ciglio della scarpata continentale.
La ricerca ha evidenziato che il
maggior numero di eventi è stato provocato da grandi e rapide frane sottomarine
innescate prevalentemente da terremoti avvenuti anche in aree distanti dalla
costa. I fenomeni più gravi si sono verificati nel Tirreno Meridionale-Stretto
di Messina-Sicilia Orientale. Il maremoto più disastroso, paragonabile per
numero di vittime a quello avvenuto il 26 dicembre nel Sud Est Asiatico, nel
Golfo del Bengala, è quello che si verificò circa 10 minuti dopo il sisma del
1908 che distrusse Reggio Calabria e Messina provocando decine di migliaia di
morti.
Lo studio aveva evidenziato fin dal 2005 che il maremoto del 1908 non fu
provocato direttamente dal sisma, come si riteneva, ma da una grande frana
sottomarina, verificatasi nello Stretto di Messina a sud di Reggio Calabria,
che fu innescata dallo scuotimento sismico. Il dato preoccupante che si porge all’attenzione
dei cittadini e dei rappresentanti delle istituzioni è che le aree costiere
italiane a rischio da tsunami, già individuate con vari studi, ancora non sono
tutelate da interventi strutturali preventivi né da attive misure di
monitoraggio, di didattica e protezione civile. La ricerca espletata nelle aree
più colpite dai maremoti del passato ha messo in luce che se si ripetesse oggi
un evento simile durante il periodo balneare si registrerebbero scene
drammatiche e luttuose simili a quelle verificatesi nel sud est asiatico
durante il disastroso evento del 26 dicembre 2004. Il rischio da tsunami non è
nemmeno preso in considerazione nei piani stralcio per la difesa dal rischio
idrogeologico. E’ evidente che bisogna recuperare il tempo perso e attivare
idonei interventi di prevenzione al fine di preparare le aree costiere e la
popolazione ad affrontare il rischio ambientale derivante da potenziali
maremoti.
Alla luce dei risultati dello studio si evince l’importanza di
elaborare linee guida per la valutazione del rischio da onda anomala delle aree
costiere e dell’impatto ambientale sulle infrastrutture di notevole rilevanza
(aereoporti, porti, centrali elettriche, impianti industriali, strade e
ferrovie ecc.). Vanno altresì messi a punto e attivati adeguati sistemi di
educazione ambientale (per es. come comportarsi qualora ci si trovi su una
spiaggia d’estate e si avverta un terremoto, oppure si noti un improvviso e
sensibile abbassamento del livello dell’acqua) monitoraggio marino e costiero
ed elaborati i Piani di Protezione Civile Comunali tesi soprattutto a
proteggere la popolazione durante il periodo balneare".
"Temo - conclude amaramente il geologo napoletano - che
per introdurre le necessarie “precauzioni” per stare più sicuri lungo le coste
e le spiagge i rappresentanti delle istituzioni attenderanno il prossimo
maremoto: speriamo che non sia disastroso.
Notizia che gira già da qualche mese.
Notizia che gira già da qualche mese.
Peppe Caridi
(www.meteoweb.it)
Fonte copia e incolla http://www.soveratoweb.it/
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